sabato 12 marzo 2011

Sindrome giapponese

Sindrome giapponese










Ci hanno provato subito, i professionisti della cagnara antinuclearista, a rilanciare il mantra consolidato della deprecazione lamentosa ed apocalittica.
 Nemmeno il tempo di seppellire le centinaia, forse migliaia di vittime di uno dei più spaventosi cataclismi dell’epoca moderna quanto a potenziale distruttivo. La forza del
pregiudizio e l’istinto dell’avvoltoio hanno prevalso ancora una volta.
Pazienza se i tempi gloriosi dell’impegno militante siano ormai trascorsi ed incanutiti assai i loro variopinti promotori, confinati in soffitta dalla prossima anche se non imminente carenza di oro nero e dalla insufficiente risposta delle fonti rinnovabili.
Proprio così, vista la poderosa inversione di marcia da parte di molti governi europei, e non solo, in tema di utilizzo dell’atomo per coprire il fabbisogno crescente di energia. Basti citare i casi di Finlandia, Spagna, Germania, Svizzera. Ma il movimento è molto più imponente: si calcola che entro pochi decenni il numero degli impianti dovrebbe addirittura raddoppiare e triplicare la quantità di gigawatt prodotti.
 Non la panacea, ovviamente, nemmeno l’uranio, in fondo, è disponibile in quantità illimitate. Semmai un utilissimo stratagemma in attesa di scoprire l’optimum che combini l’alta resa con l’ecocompatibilità.
Anche l’Italia, a tutto merito dell’attuale governo, che non può vantarne moltissimi purtroppo, sembrava essersi messa al passo coi tempi. Al momento, tuttavia, a parte enunciazioni e proclami, poco si è visto. Comprensibile la paura di scontrarsi con l’apparato del fondamentalismo pseudoambientalista in mobilitazione permanente effettiva nel bel paese ancora fortissimo. Un carnevale ideologico che ha condannato uno dei paesi in cui più promettente era la ricerca a legarsi indissolubilmente a regimi autoritari e liberticidi per ovviare alla propria cronica mancanza di risorse. Davvero un bel risultato, non c’è che dire!
Ora servirebbe davvero cogliere la palla al balzo dell’ennesimo spauracchio agitato dai soliti noti per passare alla fase operativa del progetto. In fondo, parafrasando il gran lombardo, uno il coraggio riformatore o ce l’ha o non se lo può dare.

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